“Se i medici fossero un po’ più pazienti. Cosa dovrebbero fare? Ascoltare i malati, coinvolgerli nelle cure, scusarsi per gli errori. Perché sono armi terapeutiche che aiutano a guarire.”
È il titolo e l’incipit di un articolo di Giulia Villoresi , illustrato da Alberto Ruggieri apparso nel supplemento settimanale di un grande quotidiano a gennaio 2022.
“Il medico considera il tempo della comunicazione quale tempo di cura.” è scritto dal 2014 nel Codice Deontologia Medica e dal 2019 nel Codice deontologico degli infermieri “Nell’agire professionale l’Infermiere stabilisce una relazione di cura, utilizzando anche l’ascolto e il dialogo.”
Questo paradigma sostanziale – «il tempo della comunicazione costituisce tempo di cura»- è ora anche legge dello stato, inserito nella legge entrata in vigore nel 2017 sul testamento biologico.
Ascoltare il paziente, accoglierne il vissuto, coinvolgerlo nel processo di cura, porta benefici misurabili sia nella qualità di vita del paziente, sia in quella del medico.
A medici e professionisti della sanità da anni si insegna come sviluppare le proprie capacità relazionali e queste competenze non cognitive – soft skills o Life Skills o Transversal Skills – saranno sempre più inserite nei programmi di studio.
«Invece di concentrarsi su quel che non funziona, dobbiamo capire quel che funziona, e rinforzarlo valutate anche in base al livello di soddisfazione relazionale dei pazienti.
Una ricerca ha chiesto a oltre quattromila pazienti di raccontarci gli aspetti più soddisfacenti della loro relazione con i medici, e si è visto l’importanza delle parole.
Comprendere questi studi rinforza le loro abilità relazionali dei medici e degli operatori sanitari.
Fabrizio Benedetti, Neurofisiologo all’Università di Torino, ha scoperto che certe parole colpiscono gli stessi bersagli biochimici dei farmaci.
In particolare le parole che danno speranza possono essere più efficaci di una dose di morfina. «Ovviamente le parole non curano il cancro, non uccidono i batteri di una polmonite. Però agiscono sui sintomi e sulla qualità della vita, perché l’interazione sociale è nata molto prima dei farmaci.».
Se il vissuto dei pazienti è accolto, le persone si curano meglio e di più, con un miglioramento sulla salute a breve e lungo termine.
Quindi medicina centrata sulla persona, non solo sulla patologia, e quando possibile, dalla medicina patient centred passare alla medicina family centred: è la differenza tra il curare e il prendersi cura, e comprendere la malattia, la persona e il suo contesto.
Ed è importante che medici e altri operatori della sanità acquisiscano competenze specifiche.